CIDIpensieri in libertà!

Spazio alle idee, per riflettere insieme...

 

 

 

 

Rassegna stampa e comunicati

Liberare il futuro

20/02/2017

di Maria Luigia Amoroso

Circa il documento dal “Gruppo di Firenze”, sottoscritto dai 600 ricercatori e docenti universitari, in tutta onestà non credo che abbia molto senso rilanciare oggi le ragioni dell’educazione linguistica tout court… 
A un attacco del documento, che ha pure le sue motivazioni da riconoscere, non è possibile rispondere con una semplice riproposta della didattica di 50 anni fa. L’occasione andrebbe colta  prima di tutto per chiedersi, alla luce dei fatti e dei risultati ottenuti da chi ha tentato  pratiche diverse, cos’è che non ha funzionato o, meglio, non possa funzionare. La realtà merita di essere indagata, ben aldilà dei suoi indici di gradimento: se occorre, sofferta fino in fondo, come capita quando essa ci costringe a privarci delle immaginazioni più care.    

In breve mi pare che, per quanto avvertiti di un mutamento socio-culturale in atto, abbiamo trascurato un’urgenza di realismo che invece si imponeva. Nel corso di questi quarant’anni in cui molti di noi hanno optato per il rilancio (peraltro, e non a caso, sempre più corto) di un progetto democratico per la scuola, avremmo dovuto dedicare maggiore attenzione/accortezza critica per i sensi di quel mutamento che parallelamente si svolgeva, trascurato nella sua portata e complessità, magari raccolto sotto etichette  approssimative come  “società di massa” o “crisi valoriale”. Una realtà di cui certo avevamo colto l’intuizione iniziale,  ma che a seguire abbiamo lasciato sullo sfondo, incapsulata in un cliché approssimativo che non doveva bastarci: nell’illusione di un controllo o nella sottovalutazione dei suoi sensi più scomodi.  Se così è stato, ciò è avvenuto per diverse ragioni: distratti da un eccesso di fede e passione innovativa precipitata spesso in autoreferenzialità, talvolta troppo concentrati sulle polemiche, pure necessarie per ribadire il nuovo, più di frequente evidentemente impediti dalla stessa difficoltà di interpretare i segni di un processo che coinvolgeva/coinvolge i suoi osservatori, abbiamo continuato a riproporre le nostre giuste modalità didattiche in un habitat di cui però sempre meno concepivamo il reale profilo.

Tullio De Mauro educatore, professore, maestro – II

 

08/02/2017

di Domenico Di Russo

Ho dedicato la prima parte di questo ricordo all’esempio che Tullio De Mauro ha saputo incarnare, all’empatia che sapeva sentire nei confronti dei suoi studenti e dei suoi allievi, alla disponibilità verso tutti, alla sua tensione all’inclusione, alla curiosità e all’apertura che coltivava con passione, all’analisi come presupposto imprescindibile di qualsiasi teoria o proposta, all’esortazione al rigore e allo studio che non smetteva mai di rivolgere a ciascuno. Senza questa premessa non si può comprendere quanto De Mauro ha cercato di dare e ha dato alla scuola pubblica italiana.

Solo a queste condizioni, infatti, si può apprezzare l’ambizione, la nobile ambizione delle sue proposte educative, che raggiunsero la massima espressione nelle Dieci tesi per un’educazione linguistica democratica (1975), atto costitutivo del GISCEL. Dei dieci principi dell’educazione linguistica nella scuola democratica, il primo, che sottolineava come lo sviluppo delle capacità verbali dei ragazzi andasse e vada promosso «in stretto rapporto reciproco con una corretta socializzazione, con lo sviluppo psicomotorio, con la maturazione ed estrinsecazione di tutte le capacità espressive e simboliche», era debitore dalle riflessioni di Giuseppe Lombardo Radice, pedagogista di riferimento della riforma di Giovanni Gentile del 1923. Ricordava De Mauro riprendendo proprio Lombardo Radice che: «è importante comprendere se crescono altrettanto bene tutte le altre capacità espressive, dalla danza, al canto, al disegno. E quindi educazione linguistica non è soltanto educazione all’italiano, ma al complesso delle capacità linguistiche espressive» (De Mauro 2004, 127); di conseguenza: «L’idea di base è quella di un’educazione al possesso delle capacità linguistiche che attraversi tutte le materie, e che impegni tutti gli insegnanti, non solo quelli di italiano» (ivi, 128).
Emerge qui un altro tratto distintivo di De Mauro: nella contrapposizione mediatica sempre fuorviante tra quanti rimpiangono quello che potremmo chiamare il “professore sarcofago” – l’insegnante granitico, naturalmente umanista, ancor meglio se mummificato, posto a totem sulla cattedra, insensibile alle ragioni degli studenti, inflessibile nel giudicarli e, all’occorrenza, punirli severamente quando non superano l’asticella dorata fissata al di fuori dai mutamenti della realtà – e coloro che si lasciano ammaliare da quello che potremmo definire il “professore batticuore” – 

Giù le mani dalle Indicazioni nazionali

di Giuseppe Bagni

Presidente nazionale del CiDi  

 

Roma, 6 febbraio 2017

Alla Ministra dell’Istruzione e della Ricerca
In risposta alla lettera-appello del gruppo dei 600
 

Il problema delle competenze linguistiche inadeguate sollevato dal gruppo dei 600, deriva da una politica ministeriale sulla formazione in servizio che non è stata mai centrata sugli aspetti fondamentali della riqualificazione del fare scuola reale, quali quelli di garantire competenze linguistiche significative a tutti gli studenti.

 Stupisce il documento scritto dal “Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità” dal titolo: “Saper leggere e scrivere: una proposta contro il declino dell’italiano a scuola”. In questo documento, inviato come lettera-appello al Presidente del Consiglio, alla Ministra dell’Istruzione e al Parlamento, si denuncia la presenza di gravi carenze linguistiche negli studenti universitari e si indicano quali primi responsabili la scuola primaria e le nuove Indicazioni nazionali, senza fare alcun cenno alle responsabilità della scuola secondaria di I e II grado, dove da anni si perpetuano i vecchi programmi. Anzi, quest'ordine di scuola è chiamato addirittura a visionare l'operato della scuola primaria, che dovrebbe invece essere valorizzata per la sua capacità di ascolto e maggiore sensibilità pedagogica. L'appello si conclude con l'obsoleta richiesta di più grammatica (.. sintassi e lessico).  Non intendiamo entrare nel merito della richiesta, poiché rimanda a un dibattito antico che investe molteplici piani d'indagine. Concordiamo invece con le puntuali osservazioni di Silvana Loiero, aggiungendo tuttavia alcune considerazioni.

La prima riguarda le Indicazioni nazionali rispetto alle quali occorre notare che l'impianto è basato sullo sviluppo delle competenze di cittadinanza europee pertutti gli allievi e non soltanto per alcuni, come nei programmi gentiliani. Fra queste, le competenze della madrelingua sono centrali e trasversali. Ciò che reclamano gli estensori della lettera è nel Documento della primaria abbondantemente presente (riflessione sulla lingua, elementi di grammatica esplicita, espansione del lessico, ortografia). Lo troviamo anche arricchito da passaggi che esaltano tratti metalinguistici e metacognitivi per la promozione delle abilità linguistiche (ascolto, orale, lettura, scrittura). Quindi ci viene il dubbio che non vi sia stata del Documento una lettura approfondita, che potrebbe aiutare a cogliere lo spessore teorico e didattico delle Indicazioni, nonché i riferimenti aggiornati sul piano epistemologico e psicopedagogico.

La seconda considerazione si basa su una semplice riflessione: per scrivere una lettera-appello alle Istituzioni bisognerebbe esser sicuri di conoscere concretamente la realtà scolastica. Chiariamo subito che tale conoscenza implica l'aver praticato ricerca e sperimentazione didattica, aver stabilito contatti con le scuole e con i docenti, l'aver osservato attentamente le prassi operative o aver svolto indagini statistiche in questo settore. Altrimenti si rischia di cadere in errore, come nel caso in questione. Dall'esterno potrebbe difatti non essere così evidente che le Indicazioni nazionali non sono state da gran parte delle scuole applicate (nella primaria e secondaria di I e II grado sono frequentemente sconosciute o comunque disattese). Questa situazione non dipende principalmente dai docenti, quanto dalle scelte politiche e gestionali a livello ministeriale, che orientano su tematiche "alla moda".

Per realizzare la scuola delineata dalle Indicazioni nazionali è necessario studio, riflessione, acquisizione di consapevolezze, rielaborazione teorica e operativa, ecc.;  abilità che si acquisiscono con una formazione in servizio mirata (ricerca e sperimentazione nell'ambito specifico) distesa nel tempo. Mentre la politica scolastica e la direzione delle scuole indirizzano verso altro (clil, digitale, robotica, coding, ecc.).

Indicativo dell’indirizzo della politica ministeriale per la formazione in servizio è il fatto che recentemente, durante il convegno sugli animatori digitali organizzato dal Ministero, sono stati annunciati dal capo dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali del Miur, 70 milioni di fondi PON con l'obiettivo di inserire il coding nella scuola primaria. Quando per la formazione sulle nuove Indicazioni del 2102 per il primo ciclo le risorse utilizzate, nell’arco di due anni scolastici, per tutte le discipline scolastiche, sono state di circa 4 milioni di euro.

Senza un investimento umano ed economico risulta difficile dar vita a una scuola di cittadinanza per tutti. Un simile progetto richiede una formazione permanente per i docenti che operano nella scuola; ciò è attuabile essenzialmente in Laboratori stabili di ricerca e sperimentazione, di monitoraggio, valutazione e di documentazione finale, guidati da esperti-tutor individuati autonomamente dalle scuole. Nel piano di formazione nazionale purtroppo si sta verificando tutto il contrario. Si ignora il problema e si privilegiano argomenti che non hanno niente a che vedere con il fare scuola, nel nostro caso, col fare linguistico quotidiano.  

Da ciò consegue che le Indicazioni nazionali, essendo nella scuola del primo ciclo, e non solo, praticate in minima parte, non possono causare alcun danno.

 

Roma 6 febbraio 2017                                                  Giuseppe Bagni

                                                                          Presidente nazionale del Cidi

scarica l'articolo 

'La buona scuola'

Che cosa manca nel piano La Buona Scuola?

Il CIDI di Pescara  ha condotto un'interessante discussione sul documento

"La buona scuola"

 Ci è stato di supporto tutto il materiale di riflessione pubblicato su "Insegnare",(http://www.insegnareonline.come sul sito del CIDI nazionale (www.cidi.it), e in particolare   

"La Buona scuola e noi" di Mario Ambel

"Una mappa delle cose da fare" di L. Amoroso e D. Casaccia

L’orizzonte e la strada” di Giuseppe Bagni

 

Dopo una lunga discussione, portata avanti nel corso degli incontri tenuti il mercoledì presso la sede del Cidi Pescara, abbiamo deciso di rispondere alla domanda

Che cosa manca nel piano La Buona Scuola?

 

Che cosa manca nel piano "La Buona Scuola"?

Nel documento è assente lo scopo Costituzionale della scuola ossia quello di “rimuovere gli ostacoli” per promuovere l’istruzione di tutti e di ciascuno.
Per la precisione si ignorano la complessità e lo spessore problematico di ogni intervento didattico efficace in tal senso: una professionalità che affronta simultaneamente le dimensioni relazionale, disciplinare, collegiale,sperimentale, organizzativa e progettuale da coniugare con le specificità dei contesti.
Il documento immagina  soluzioni estemporanee di queste problematiche avanzando proposte semplificatorie e inadeguate alla difficoltà drammatica della realtà quotidiana.
Senza una consapevolezza piena di questa complessità viene prospettata una scuola che non sa immaginare il futuro, capace solo di leggere il presente nelle sue forme dominanti della produzione economica e della tecnologia.
Una scuola dove il presente è punto di arrivo definitivo e la conoscenza  sembra orientata alla sua  conferma e al suo mantenimento.

Un articolo interessante

Si segnala l’articolo appassionato e appassionante di Luigia Amoroso e Daniela Casaccia uscito su Insegnareonline.

IL CENTRO

13 marzo 2015

Attacco terroristico e criminale contro la scuola italiana

Comunicato ufficiale del Cidi nazionale sull'attentato effettuato a Brindisi dinanzi all'Istituto Professionale "F. Morvillo Falcone":

scarica il documento e fallo circolare anche nella tua scuola

Attacco
terroristico
e
criminale
contro
la
scuola
italiana
“La
mafia
teme
la
scuola
più
di
ogni
altra
cosa”,
ha
affermato
Antonino
Caponnetto.
Sono
parole
che
oggi
si
possono
rivelare
profetiche
se
l’attentato
di
Brindisi,
come
i
più
propendono
a
credere,
è
da
attribuire
alla
criminalità
organizzata.
L’attentato,
in
cui
ha
perso
la
vita
una
ragazza
e
sono
state
ferite
gravemente
altre
studentesse,
colpisce
con
violenza
inaudita
la
scuola
italiana.
“Hanno
voluto
uccidere”
ha
dichiarato
il
preside
dell’Istituto
Professionale
Morvillo
Falcone
di
Brindisi.
Morire
per
l’esplosione
di
una
bomba
davanti
alla
scuola.
Pochi
giorni
prima
dell’anniversario
della
strage
di
Capaci,
nel
giorno
dell’arrivo
a
Brindisi
della
carovana
antimafia
organizzata
da
Libera.
È
un
atto
di
una
ferocia
senza
precedenti,
perché
colpire
i
nostri
giovani
è
uccidere
un’altra
volta
tutti
i
morti
di
mafia.
La
scuola
italiana
in
questo
momento
non
può
che
stringersi
attorno
agli
studenti
e
alle
scuole
di
Brindisi,
ai
familiari
delle
vittime.
I
docenti
italiani
non
possono
che
continuare,
come
sempre,
a
insegnare
il
valore
della
legge
e
della
convivenza
civile,
l'amore
per
la
libertà,
il
significato
della
democrazia,
come
si
fa
nell’Istituto
Morvillo
Falcone,
una
scuola
impegnata
in
prima
linea
nell’impegno
per
la
cultura
della
legalità.
Confidiamo
in
una
mobilitazione
straordinaria
dell'intero
paese
per
riaffermare
quei
valori
che
difendiamo
nelle
strade
ma
costruiamo
nelle
scuole.
Roma,
19
maggio
2012

Ci mancavano solo i BES!

Lettera aperta al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza

 

di Paola Conti, insegnante scuola dell’infanzia  

 

Scarica l'articolo in formato pdf per leggere le interessanti riflessioni proposte al nuovo Ministro: qui di seguito una breve anticipazione...

 

"... la Direttiva, la Circolare e la Nota, vanno a consolidare un’idea largamente diffusa e sbagliata per la quale per fare scuola, per insegnare, c’è bisogno di ripristinare la “normalità” nella classe. Per cui, per gli alunni che hanno una certificazione ci sono gli insegnanti di sostegno e per i DSA ci sono gli strumenti compensativi. Ma siccome le classi non sono ancora “a livello” perché ci sono ancora “casi” complicati, che sfuggono alla spiegazione frontale, che non tengono il ritmo che si dovrebbe seguire, allora ci inventiamo i BES. Poco importa che non si tratti di un’invenzione di sana pianta e che, a livello di ricerca internazionale, siano codificati ufficialmente. È l’utilizzo strumentale della sigla a fini didattici che rappresenta la gravità dell’operazione. Il messaggio che viene lanciato (anche involontariamente, ma che volontariamente sarà recepito dalle scuole) è il seguente: non è la scuola, non è la didattica che deve andare incontro ai bambini e ai ragazzi attraverso gli strumenti della programmazione e della progettazione curricolare. La scuola è questa. La didattica è questa. Chi è “adeguato” bene: può seguire il programma (non abbiamo mai davvero digerito il passaggio dal programma alle Indicazioni per il curricolo, al di là degli adempimenti formali). Chi non vuole, non sa, non riesce viene “normalizzato” attraverso una definizione che consente all’insegnante di ridurre per lui gli obiettivi, il carico, di attrezzarlo con strumenti operativi che di per sé non garantiscono nulla, ma danno l’impressione che ci stiamo occupando del problema, senza doversi porre minimamente il dubbio dell’adeguatezza della sua proposta didattica, della scelta dei contenuti, dell’approccio comunicativo, dell’organizzazione e gestione delle relazioni….

La scuola non aveva bisogno dei BES, Gentile Ministro. Sarebbe bastato dire: “Fate la

programmazione come si deve. Leggete le Indicazioni e ricercate e sperimentate percorsi curricolari nell’ottica della verticalità e della significatività per i bambini. Strutturate percorsi di relazione con i genitori a partire da osservazioni e verifiche rigorose, capaci di produrre valutazioni coscienziose, che diano ragione del percorso formativo del singolo e del gruppo di cui fa parte”.

Ci mancavano solo i BES! Lettera aperta al Ministro Carrozza
BES DI PAOLA CONTI.pdf
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Documento del CIDI di Pescara

Pescara novembre 2012

 

LA MOBILITAZIONE AL TEMPO DELLA CRISI

 

Mobilitarsi al tempo della più grave crisi economica del nostro Paese é un segnale coraggioso, e la protesta straordinaria attuata  da noi docenti, in  questi giorni, non si verificava da anni. Questi fatti  devono rappresentare una fase da cui ripartire: ci sembra doveroso “approfittare” di quanto è successo e sta succedendo, per continuare la riflessione e trasformarla in una conseguente pratica di cambiamento; non possiamo e non dobbiamo permettere che si interrompa il dibattito democratico avviato, fino alla prossima impennata ministeriale.

Ci siamo opposti e abbiamo vinto per la giusta rivendicazione del diritto costituzionale alla contrattazione, ci siamo sentiti offesi dal rituale chiacchiericcio di parte dell’opinione pubblica sul part time  degli insegnanti. Ma non vogliamo fermare questa sorta di onda anomala, che deve diventare un pensiero comune e un  progetto più ampio di scuola, nel quale anche il tempo diventa una variabile pedagogica. 

Alcune proposte:

  • Unicità della funzione docente, unico l’orario di lavoro, e quindi retribuzione omogenea per tutti i gradi dell’istruzione. Il tempo scuola è sempre una questione di qualità di lavoro collegiale, sia quando si progetta, sia quando si insegna , sia quando si valuta. Infatti la scuola primaria, nonostante la riforma Gelmini, raggiunge i risultati migliori anche perché i docenti si incontrano settimanalmente, riflettono e ricercano insieme. 

 

  • Orario di servizio documentato e documentabile: non possiamo continuare ad essere l’unica categoria della pubblica amministrazione in cui coesistono lavoro visibile, lavoro “sommerso”,  “volontariato”; ci devono essere forniti, pertanto,  gli spazi e  gli strumenti per svolgere il nostro ruolo diprofessionisti dell’educazione nel luogo di lavoro.

La proposta di aumentare l’orario di lavoro, soprattutto quello della ricerca didattica, dovrebbe coniugarsi con un adeguamento della retribuzione ai parametri europei.

Abbiamo dimostrato che possiamo essere un  vero corpo docenteimpegnato non solo a rivendicare (giustamente) aumenti contrattuali, ma anche a lottare unitariamente contro riforme che non rappresentano l’esigenza di una evidente, riconoscibile e riconosciuta professionalità docente.

 

Pescara novembre 2012

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Documento mobilitazione - novembre 2012
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Tutti a scuola fino a 17 anni??

di Rosamaria Maggio (Cidi di Cagliari, vice presidente nazionale)

Qualche giorno fa il Ministro Profumo in una intervista rilasciata al quotidiano” Il Mattino” dichiarava: "L'obiettivo è evitare che i ragazzi lascino la scuola in età precoce, un traguardo che si può raggiungere prolungando il percorso dell'obbligo scolastico con le qualifiche professionali. Questo consentirebbe di far entrare i ragazzi nel mondo del lavoro più maturi e più robusti, riducendo così anche l'abbandono scolastico".
I giornali titolavano “Obbligo scolastico fino a 17 anni”.
Per chi crede nella scuola per tutti, nella scuola del “non uno di meno”, potrebbe essere quindi arrivato il momento di dire”finalmente”!!!
Ma poiché l'Italia ha una storia difficile  in relazione all'innalzamento dell'obbligo scolastico, qualche domanda sul significato di queste dichiarazioni e soprattutto sulle modalità di realizzazione di questo obiettivo è giusto porsela.
Non perché  non ci si fidi del Ministro Profumo. Le sue dichiarazioni di fiducia nella scuola pubblica, di rispetto e rivalutazione per il ruolo dei docenti, di inversione di tendenza, almeno nelle intenzioni, per un maggior investimento nella scuola, sono dolci melodie per le orecchie di chi per anni è stato bistrattato, offeso, umiliato e soprattutto disconfermato nel suo ruolo di insegnante ed educatore delle generazioni future.
Siamo però consapevoli che l'idea di obbligo scolastico sia molto varia, diciamo così', nell'arco delle “forze parlamentari costituzionali” e l'idea che in fondo ci siano ragazzi che non ce la fanno è piuttosto diffusa.
Qualche giorno fa , ad un incontro con 350 studenti in un importante liceo classico della mia città, un giovane di terza liceo chiedeva che senso avesse tenere a scuola ragazzi che non vogliono studiare.
Si parlava di sviluppo economico ed istruzione.
Si parlava di costi e benefici.
Si parlava dell'importanza di investire nella scuola ed anche del maggior rendimento in termini economici di un  maggiore investimento nella istruzione.
La risposta che si è cercato di dare allo studente è rappresentata dalle convinzioni che si esprimono in queste righe, nella speranza che il Ministro le condivida.
La nostra Costituzione prevede l'obbligo di istruzione per almeno 8 anni (art. 34) e dopo un primo tentativo di innalzamento effettuato dal Ministro Berlinguer e vanificato dal Ministro Moratti alla quale dobbiamo la perla dell'introduzione, con la legge 53/2003, del diritto-dovere all'istruzione, abbiamo dovuto attendere il Ministro Fioroni per l’introduzione dell'obbligo di istruzione fino a 16 anni (L.296/06), del Regolamento per l'adempimento dell'obbligo, e dell’allegato documento tecnico,  emanati contemporaneamente alla Raccomandazione del Parlamento  e del Consiglio Europeo circa l'acquisizione delle competenze chiave di cittadinanza (18.12.06).
Con il Ministro Gelmini in combutta col Ministro Sacconi, questa sofferta conquistata che ci allineava anche agli orientamenti europei, è stata nuovamente scippata con l'approvazione della legge di riforma dell'apprendistato che consente di iniziare a lavorare a 15 anni,  assolvendo contemporaneamente all'obbligo scolastico (non si sa ancora come).
L'apprendistato in  bottega  è da questa legge considerato equivalente al percorso scolastico.
Dall'anno scolastico 2011/12 i ragazzi che avranno conseguito la licenza media potranno stipulare un contratto di apprendistato, perché di un contratto di lavoro si tratta, e anziché iscriversi a scuola il lavoro come apprendista potrà essere considerato a tutti gli effetti utile per l'assolvimento  dell'obbligo scolastico.
Se volessimo dare uno sguardo a ciò che succede in Europa con riferimento a paesi simili a noi  per dimensioni di sviluppo economico o comunque a paesi con elevati risultati scolastici in quella fascia d'età (ad es. Finlandia ), vedremo che in Finlandia appunto l'obbligo scolastico è di 9 anni, copre l'intero livello di istruzione di base (7-16 anni) ed è organizzato a struttura unica che copre l'istruzione primaria e secondaria inferiore.
In Francia l'istruzione obbligatoria dura 10 anni, inizia a 6 e finisce a 16 anni e si conclude dopo il primo anno di liceo o istruzione tecnologica o professionale.
Nei Paesi Bassi inizia a 5 anni e si conclude a 17 anni coprendo i primi due anni di istruzione secondaria superiore.
Mediamente in Europa  l'istruzione obbligatoria si conclude a 16 anni ed in nessun caso abbiamo equipollenza tra apprendistato e scuola.*
Le dichiarazioni del Ministro in verità ci preoccupano, perché,  lungi dal rimuovere questa grave anomalia nel sistema dell'obbligo, propone nella sua idea di scuola fino a 17 anni di indirizzare i nostri studenti verso la formazione professionale regionale dalla fine della scuola media, operando una ulteriore equiparazione tra istruzione (ancorché professionale) e formazione professionale regionale.
E' vero che l'art.117 della Costituzione, nella riforma del titolo V, prevede che la formazione professionale sia di competenza regionale, e che molte Regioni hanno legiferato in materia creando un sistema di formazione professionale virtuoso. In alcune leggi regionali viene delineato un buon sistema di formazione professionale  per preparare i ragazzi e dotarli alla fine di un percorso triennale  o quadriennale di qualifiche o  di una specializzazione, ma la Costituzione nulla dice a proposito del momento in cui la Formazione professionale possa essere una delle opzioni utili al percorso di istruzione e/o formazione del ragazzo.
La soluzione verso la quale si starebbe orientando il Ministro quindi non è vietata dalla Costituzione.
Ma noi crediamo che le norme debbano essere considerate all'interno di un sistema complessivo sia nazionale che europeo e quindi non possiamo ignorare che le indicazioni europee vadano verso un innalzamento dell'obbligo a 18 anni, che la stessa Costituzione negli artt. 3  e 2 metta in evidenza che la Repubblica da un  lato rimuove gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo  della persona umana e dall'altro riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo quale è il diritto all'istruzione.
Contemporaneamente non possiamo  sottovalutare  la complessità di questo mondo globalizzato,  che porta ciascuno di noi a dover  aumentare le proprie competenze, a modificarle sempre di più, sempre che  siamo in grado, perché dotati degli strumenti  culturali necessari, di modificarle .
Un bravissimo insegnante della formazione professionale emiliano che ora non c'è più, diceva che oggigiorno anche per smontare una batteria un meccanico ha   necessità di competenze informatiche. E  parliamo di una formazione professionale di livello e tradizione come quella emiliana.
Ma non possiamo ignorare che il territorio nazionale soffre di grandi sperequazioni culturali, che diverse Regioni non si sono dotate di una legge regionale in materia (ad es. la Sardegna), che spesso quelle Regioni sono proprio quelle prive di un sistema di formazione professionale di livello (ad es. la Sardegna).
Da insegnante non ho nessun pregiudizio nei confronti della formazione professionale. Ho però l'idea di una formazione professionale alta, alla quale il ragazzo possa accedere dopo aver assolto all'obbligo di istruzione nella scuola, perché solo nella scuola si possono acquisire quelle competenze chiave oggi indispensabili per l'esercizio dei diritti di cittadinanza, per un apprendimento lungo tutto l'arco della vita.

* Fonte Eurybase -Banca dati Eurydice su obbligo scolastico in Europa

E' tempo di elezioni: pensiamo alla scuola!

 

SULLA SCUOLA NON SI PUO' PIU' SBAGLIARE

 

leggi il documento del Cidi nazionale

 

Sulla scuola non si può più sbagliare. Questo è il messaggio che vorremmo fosse ben chiaro non solo al nuovo governo, ma a tutto il nuovo Parlamento.

Non c'è rilancio possibile per il Paese senza una vera politica per la formazione. Il che impone un'inversione di rotta che rappresenti una netta discontinuità con la politica dei tagli che ha colpito la scuola negli ultimi decenni.

Tornare a investire sulla conoscenza è il prerequisito indispensabile per garantire a tutti pari opportunità d'apprendimento e d'inserimento nella società come cittadini attivi.

Per non sbagliare, occorre avere un progetto forte e credibile sulla scuola e riconoscere che il motore principale del cambiamento è negli insegnanti. Bisogna ripartire da loro, prepararli adeguatamente e in modo continuo, e rimotivarli riconoscendo la centralità del loro ruolo in una società complessa come quella attuale. La credibilità del progetto dipenderà molto dalla chiarezza delle scelte che si faranno su alcuni temi centrali...

 

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Sulla scuola non si può più sbagliare.pd
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Condividiamo alcune riflessioni presentate alla Segreteria Nazionale da Mario Ambel:

"Penso che il paese stia toccando in queste ore i suoi livelli più bassi e inverecondi.

 

La gazzarra che alcuni ex camerati  stanno inscenando in Parlamento (ridotto a un bivacco di mantenuti) e la sceneggiata del loro pluridecennale protettore/protetto che promette campi da golf e casinò a pochi metri da chi muore in mare o sotto il fuoco del suo (ma non solo suo) satrapo sodale, mentre il condottiero padano promette forme delicate di rimpatrio etnico, ci chiamano ormai a una risposta che sappia andare al di là dell'opposizione rituale dei manifesti o dei grandi raduni.

 

Ognuno del resto dovrebbe far sentire il proprio dissenso civile sia sulle questioni più grandi che lo investono come cittadino del proprio Paese e del mondo, ma anche, e forse in primis, nei luoghi e nei contesti in cui vive, lavora, dà testimonizna quotidiana di sé e delle proprie convinzioni.

 

Io sono da tempo amaeggiato perché la scuola non ha saputo opporsi con dignità e fermezza allo sfascio che il cassiere, la piccola gendarme e il censore rissoso di questo sbracato esercito di neoconservatori le hanno riversato addosso. E sono perplesso per il fatto che anche noi, come insegnanti e come esponenti di una associazione professionale e quindi della società civile, in fondo continuiamo a fare le stesse cose di sempre, come se questo fosse un paese normale, come se questo fosse un modo normale di trattare la scuola.

 

Le stesse lezioni, gli stessi convegni, le stesse iniziative, le stesse pubblicazioni. Sì, forse abbiamo un poco accentuato la protesta e l'indignazione, ma neppure di tanto. Chiedo ormai da anni (da novembre 2009) azioni anche simboliche più evidenti di dissenso e di opposizione quotidiani, continui, non rituali. Non so che cosa e come, ma vorrei che ci impegnassimo a trovarle. Non mi basta più continuare ogni giorno come se nulla fosse e poi ogni due o tre mesi andare in piazza, dall'ultima volta senza neppure più bandiere di parte, come se avere una parte che soffre e combatte per una società più giusta fosse una vergogna.

 

Io invece voglio di nuovo sentirmi parte di una parte che non si piega e non si confonde, che non ha rinunciato a crederci, che intende 

(r)esistere ma che ogni giorno in qualche modo lo afferma, lo rivendica, lo ricorda a sé, ai distratti e ai conniventi.

Fosse anche solo, in alto, sul sito o in ogni pagina della rivista un logo, o una di quelle patacche a spilla, un simbolo con scritto: noi non ci stiamo; noi continuiamo a lavorare, ma "contro" questa gentaglia.

 

Se il cidi vorrà e saprà essere questo con più forza ed efficacia, mi sembrerà che valga ancora la pena pensare che è una buona cosa che esista e che agisca. Altrimenti, francamente, non capisco più che cosa ci sta a fare, visto che non è "lavoro", ma - e ricominciamo a dirlo senza vergogna! - "militanza" politica o se la parola spaventa qualcuno, almeno "partecipazione". Se qualcuno invece pensa che sia altro lo dica e me lo spieghi che così mi saprò regolare."

 

Mario Ambel

Prove INVALSI nella scuola media

Il Cidi di Pescara propone ai  Collegi delle scuole secondarie di primo grado un Ordine del Giorno per un momento di riflessione da condividere con Invalsi e Miur

 

La vicenda che si è consumata il giorno 21 giugno 2011 sulla non correttezza delle griglie di correzione delle prove INVALSI degli esami di stato conclusivi del primo ciclo di istruzione, induce il Collegio a proporre al INVALSI e al MIUR una riflessione

 

Premesso che i docenti di questa scuola non sono mai stati contrari alla valutazione esterna, ritenendola un percorso ineludibile di ricerca sulla cultura della valutazione;

  1. Ritengono che la stessa, inserita nell’ambito degli esami di stato conclusivi del primo ciclo di istruzione infici di fatto lo spirito di osservazione e di analisi che invece dovrebbe caratterizzare le prove in una corretta logica di valutazione di sistema;
  2. Ritengono inoltre che imporre alle scuole un’osservazione delle conoscenze e abilità decontestualizzato in un momento delicato come quello conclusivo di un percorso di ben 8 anni di scuola, costituisca una difficoltà che può indurre modalità non corrette

a)      Gli insegnanti potrebbero finalizzare prevalentemente la preparazione alle prove INVALSI, invece che al potenziamento della riflessività e alla rielaborazione personale, obiettivi reali di una prima prova in età adolescenziale

b)      Gli insegnanti potrebbero centrare l’attenzione più sulle prove INVALSI al fine dichiarato di non “far fare brutta figura agli alunni” e quello non dichiarato del “timore” della valutazione su se stessi, fino a quei comportameti “opportunistici” certamente deplorevoli ma che non legittimano un provvedimento di per sé offensivo come l’esclusione dei docenti competenti dalle prove delle loro discipline o affini

c)       La correzione fatta in tempi purtoppo ristretti (gli esami devono concludersi entro il 30/6/11) non permette di riflettere e ponderare la reale situazione dei singoli alunni (ricerca del perché hanno commesso quell’errore)

  1. Deplorano il fatto che quando faticosamente ( e gratuitamente) si è conclusa la già macchinosissima operazione di correzione (tra le ore 20 e le ore 22 a seconda delle scuole) il giorno 20/6/11, si è scoperto, tramite mail arrivata nella mattinata del 21/6 che bisognava rivedere i risultati, perché la maschera di calcolo del voto era sbagliata. In molti casi la scuola è stata costretta a interrompere le operazioni di colloquio, per verificare le situazioni di tutti gli alunni, con meccanismi informatici confusi e complessi.
  2. Deplorano inoltre ciò che si è verificato interno alle ore 17,30, quando è arrivata una ulteriore mail di specificazione delle modalità di utilizzo della maschera (la cui complessità era evidenziata dal fatto che si chiedeva ai Presidenti di utilizzare personale altamente qualificato in tecnologie) e quindi si è dovuto nuovamente riverificare il già fatto, con ritardi notevoli nelle operazioni programmate.

Il Collegio chiede che la valutazione esterna avvenga in momenti di serenità e distensione e non costituisca un aggravio ulteriore in un periodo dell’a.as. delicato per gli alunni e stressante per i docenti.

In questo modo, infatti perde il suo scopo prioritario di aiuto alle scuole e agli insegnanti per la messa in atto di azioni di miglioramento.

 

puoi scaricare il documento per proporlo nella tua scuola:
ORDINE DEL GIORNO - prove Invalsi scuola
Documento Microsoft Word 26.0 KB

Il Cidi ha un nuovo Presidente Nazionale

 

Nel Coordinamento del 4 e 5 giugno 2011 si è insediato il nuovo Presidente nazionale del Cidi Giuseppe Bagni, al quale vanno gli auguri di buon lavoro.

 

A Sofia Toselli, che per cinque anni ha diretto la nostra Associazione con tenacia e autorevolezza, lasciando oggi un Cidi ricco di iniziative e di idee nonostante la difficile situazione politica, il grazie di noi tutti.

 

Roma, 9 giugno 2011

 

Perché è importante andare a votare

 

Perché il voto è il modo più democratico che abbiamo per esprimere la nostra opinione e la nostra volontà. Perché le questioni oggetto di referendum non sono di poco conto. Non si può dire che non ci riguardano. Riguardano noi, i nostri figli, i nostri studenti, le loro famiglie. La scuola ha il dovere di fare la sua parte, fornendo il massimo delle informazioni e gli strumenti per capire.
Perché è cominciato tutto dalla scuola, quando la scorsa estate i precari hanno fatto lo sciopero della fame, in tantissime città italiane. Poi i ricercatori sono saliti sui tetti, gli studenti hanno sfilato facendosi scudo con i libri, le donne hanno mobilitato l’intero paese. E ancora: l’informazione, la giustizia, la Costituzione. Le donne, gli uomini e i ragazzi della scuola italiana sono stati sempre in prima fila, perché questo governo e questo presidente del consiglio hanno dichiarato guerra alla scuola dal primo giorno che si sono insediati. Hanno rubato alla scuola pubblica risorse vitali, nella speranza di annullarne la vitalità. Hanno offeso insegnanti, studenti, dirigenti scolastici, e con loro tutti i cittadini, perché in ogni casa c’è qualcuno che va a scuola o all’università, in ogni casa si è potuto vedere, si è vissuto sulla pelle il risultato disastroso di questa politica.
Per tutte queste ragioni gli insegnanti italiani vanno a votare il 12 e il 13 giugno, perché il voto è l’arma più bella in un paese democratico. L’esercizio del voto è la forma più alta di libertà, e la scuola ha il dovere di dirlo.


Roma, 8 giugno 2011

 

Scioperare perché

 

Perché vogliamo bene alla scuola pubblica. Perché avere cura della scuola, arricchirla e farla crescere, fa bene a tutti. Perché non vogliamo pagare ancora, con altri tagli. Perché, ancora una volta, vogliamo dire basta, e vogliamo farlo con tutti gli altri lavoratori, in uno sciopero generale. Perché vogliamo un paese che investa nell’istruzione e nella cultura. Perché in questi 150 anni la scuola è stata un fattore di integrazione e di emancipazione, di crescita e di progresso. Perché è dalla scuola che occorre ripartire. Perché vogliamo guardare avanti. Perché siamo orgogliosi del nostro lavoro. Perché siamo stanchi di essere insultati. Perché siamo la scuola della Costituzione.

Per tutte queste ragioni, il 6 maggio saremo con la CGIL.

 

 

Roma, 2 maggio 2011

 

È l’ora della mobilitazione

Fare scuola, fare scuola, fare scuola

 

È l'ora della mobilitazione, dice Gustavo Zagrebelsky in un testo che è stato diffuso

in questi giorni. Ma mobilitarsi non vuol dire solo andare in piazza. Mobilitarsi può

voler dire cose diverse per un operaio o per una casalinga, per un pensionato o per

uno studente, per un medico, un magistrato, un giornalista o un professore. Che cosa

possiamo fare noi insegnanti? Possiamo remare contro quest'ondata di volgarità,

ignoranza, malcostume, corruzione, tracotanza e prepotenza che rischia di travolgerci.

Come? Con le armi della scuola, che consistono nel far crescere l'intelligenza e la

capacità di giudizio dei nostri studenti attraverso lo studio e la conoscenza. Fare

scuola, fare scuola, fare scuola. E non siamo soli, perchè mai come in questo

momento abbiamo a disposizione, attraverso la rete, strumenti potentissimi che, la

rivoluzione dei gelsomini ce lo insegna, devono trasformarsi in nostri alleati. Come

nostri alleati devono diventare i genitori, gli studenti, i nonni. E chi se no? Quello che

è successo al Parini non deve più accadere. Perché nella letteratura, nell'arte, nella

storia, nella musica, nelle scienze, nella filosofia, nella matematica ci sono i tesori

dell'umanità. Non è per caso che nelle civiltà antiche coloro che custodivano il sapere

erano tenuti in grandissima considerazione.

 

E quindi, colleghi, mobilitiamoci. Per insegnare la crudeltà della guerra. Il valore

della legge. La natura dell'uomo. Il rispetto dell'altro. Il buio dell'ignoranza. I pericoli

dell'intolleranza. L'importanza del dubbio. Il rispetto della natura. Il valore della

convivenza civile. L'amore per la libertà. Il significato della democrazia. L'onesta'

intellettuale.

Giorno dopo giorno, dentro le scuole, e' questa la nostra mobilitazione.

 

Roma, 8 aprile 2011

adesione del Cidi alla manifestazione del 12 marzo

 

Meritiamo rispetto, pretendiamolo

di Sofia Toselli

 

Non c’è democrazia senza uomini e donne in grado di farla vivere e crescere.

Questo è il compito prioritario della scuola pubblica. Per questo Berlusconi l’attacca.

 

Sono tre anni che la scuola è tagliata, mortificata, ridotta al minimo del suo funzionamento. Con provvedimenti di discutibile legittimità questo governo ha operato intenzionalmente per rendere la scuola dello Stato, la scuola dell’art. 3, comma 2 della Costituzione, un luogo inefficiente, inospitale, selettivo, dove si farà sempre più fatica a insegnare e apprendere.

Il momento è difficile e il malessere degli insegnanti si taglia a fette. In una situazione così, se arriva alla scuola un’offesa ingiusta e spregevole da chi avrebbe, per responsabilità istituzionali, il compito di salvaguardarla, il malessere aumenta, l’irritazione esplode.

 

Gli insegnanti “inculcano” le loro idee agli alunni, è stato detto, sottintendendo che la scuola dello Stato sia un luogo pericoloso, da cui le famiglie si debbono guardare. In realtà si attacca la scuola pubblica, la scuola dello Stato, per quello che essa rappresenta, un luogo dove si cresce e si impara tutti insieme, dove non si fa differenza tra il ricco e il povero, tra chi è italiano e chi non lo è, tra il bianco e il nero, tra chi è credente e chi no. Tutti i giorni gli insegnanti sono impegnati, attraverso il confronto delle idee, nello sforzo di istruire ed educare cittadini liberi, colti, capaci di pensiero autonomo. La fatica di insegnare e apprendere merita rispetto, attenzione e cura. E una classe politica che non è capace di capire questa verità elementare e offende e mortifica quanti la scuola, malgrado le difficoltà, ogni giorno la fanno funzionare, fa al paese l’offesa più grande.

 

Certo, ogni generalizzazione è sbagliata: perciò non ci nascondiamo le zone d’ombra, le

inadempienze, le posizioni di comodo presenti in questa come in altre categorie. Ma è

spregiudicata irresponsabilità la delegittimazione degli insegnanti.

A chi giova allora questo gettare fango sfruttando la possibilità di utilizzare mezzi di informazione che alla scuola non sono accessibili? A chi torna utile il qualunquismo di chi parla della scuola come di un fenomeno di degenerazione sociale e culturale, con l’approssimazione superba e acritica di chi pensa che poiché la scuola è di tutti, tutti ne possano parlare?

 

E soprattutto, colleghi, dove siamo noi, insegnanti consapevoli, democratici, responsabili, vincolati indissolubilmente all’etica della nostra professione? Abbiamo maturato anticorpi tali che ci proteggono dalla delegittimazione e dalla ipocrisia di chi usa la menzogna per esprimere un’idea di scuola che non vogliamo e non possiamo condividere?

E’ utile questa nostra rassegnazione? E’ socialmente produttiva l’idea che sarà solo l’esempio del nostro lavoro a far giustizia di ogni informazione tendenziosa, di ogni mortificazione subita? Sarà la nostra serietà a prevalere sulla delegittimazione?

Io credo di no, che non sia sufficiente. Credo che occorrano risposte altrettanto penetranti e potenti.

Ma per fornire queste risposte abbiamo bisogno che il nostro malessere e la nostra indignazione diventino visibili, palpabili.

 

Testimoniamo perciò con la nostra presenza il 12 marzo l’importanza straordinaria del lavoro che facciamo. Meritiamo rispetto, pretendiamolo.

La scuola pubblica educa al pensiero critico. Per questo Berlusconi l’attacca

Adesso basta, basta insulti. La fatica di insegnare e apprendere, la fatica di crescere, merita rispetto, attenzione e cura. E una classe politica che non è capace di capire questa verità elementare e offende e mortifica continuamente la scuola italiana, con ogni atto e con ogni parola da quasi tre anni, fa al paese l’offesa più grande.

Qui non si tratta solo di non investire sul futuro dei nostri figli, questo purtroppo gran parte dell’Italia lo ha capito da tempo, qui si tratta, se possibile, di vero e proprio disprezzo.

 

Tutti i giorni gli insegnanti sono impegnati, attraverso il confronto delle idee, nello sforzo di istruire e educare cittadini liberi, colti, capaci di pensiero autonomo.

Questo è il compito prioritario della scuola pubblica.

 

Come si fa perciò a dire che gli insegnanti vanno contro l’interesse dei genitori?

 

In realtà si vuole attaccare la scuola pubblica per imporre omologazione, aggredire la Costituzione e in sostanza il futuro democratico del nostro paese.

 

 

Sofia Toselli

Presidente nazionale del Cidi

 

Roma, 27 febbraio 2011

Adesione alla manifestazione

del 13 febbraio 2011

 

 

Il 13 febbraio è la manifestazione di tutte le donne che hanno costruito con fatica il proprio ruolo in questo nostro paese, e ne vogliono rivendicare con forza e con orgoglio la dignità.

 

Noi donne del Cidi, insegnanti, dirigenti scolastiche, educatrici e operatrici del mondo della scuola, aderiamo a questa manifestazione perché ci sentiamo offese nella nostra dignità di donne di scuola dal modo in cui si propongono modelli culturali e di comportamento basati sull’uso e sull’esibizione dei corpi delle donne e delle ragazze.

 

Vogliamo anche esprimere il disagio profondo che come insegnanti avvertiamo di fronte ai nostri alunni in questa situazione. Agli insegnanti gli studenti chiedono risposte. E le chiedono anche sul ruolo e sulle responsabilità della politica, delle

istituzioni e di chi le rappresenta.

 

Come si fa a insegnare il rispetto fra uomo e donna, ma anche l’importanza di osservare le leggi o i valori etici fondamentali quando attorno a noi è tutto fondato sulla prepotenza del potere esibito sia in pubblico che in privato? Davvero pensiamo

che i ragazzi e i bambini siano sordi e ciechi?

 

Noi gente di scuola siamo impegnati tutti i giorni nello sforzo di formare cittadini liberi, colti, capaci di pensiero. Nello sforzo di trasmettere il senso profondo del vivere civile attraverso lo studio e la conoscenza. Di portare avanti il compito che la nostra Costituzione affida alla scuola.

 

Per queste ragioni saremo in piazza il prossimo 13 febbraio. E per queste ragioni chiediamo ai nostri colleghi maschi di venire con noi. Se non ora, quando?

 

Roma, 9 febbraio 2011

Firma anche tu!

 

Un appello per chiedere la modifica dell'esame finale della scuola secondaria di primo grado

 

La prova InValSi non deve far parte delle prove d’esame. La valutazione finale degli alunni e delle alunne deve rispecchiare realmente il loro percorso di studi.

 

vai alla pagina della FLC CGIL per leggere e sottoscrivere l'appello

 

L’esame di licenza media e il caos della prova Invalsi

 

L'errore nella griglia di correzione della prova nazionale Invalsi dell’esame di terza media è il sintomo più clamoroso ed emblematico dello stato confusionale in cui si dibatte il Ministero.

Il Cidi, nel sottolineare come l’approssimazione e la sciatteria nella gestione dell'istruzione da parte dell'attuale governo siano arrivate a livelli non più tollerabili, ribadisce di essere a fianco di tutte le associazioni professionali e sindacali, collegi di scuole e singoli docenti che si interrogano seriamente su quale debba essere il ruolo della valutazione nel processo d'apprendimento e nel

miglioramento del sistema d'istruzione.

Si è voluto far credere che tutto il mondo della scuola fosse in agitazione per sottrarsi a ogni tipo di valutazione, senza tenere conto che da anni le prove Invalsi e Ocse-Pisa si svolgono regolarmente nelle scuole senza aver suscitato nessuna particolare protesta. Quella che invece non è più tollerata è l'invadenza del livello nazionale - caratterizzato da un'analisi statistica su ordini di grandezza macroscopici - su quel piano della valutazione riservato alle relazioni educative e didattiche, e al patto formativo che viene stipulato tra i soggetti realmente coinvolti, docenti e studenti in primo luogo. E come se non bastasse, imperturbabile, il ministro ha addirittura avanzato l’ipotesi dell’introduzione delle medesime prove per l’esame di maturità.

Al centro torna invece la questione della responsabilità della valutazione di un ciclo di studi che dura ben otto anni, che a nostro parere non può che essere affidata ai docenti che hanno accompagnato gli alunni lungo quel percorso. Autonomia scolastica significa responsabilità. Una responsabilità che risulta azzoppata con l'introduzione della prova nazionale curata dall'Invalsi.

Riteniamo che una prova nazionale che influenza in modo determinante il voto finale del singolo alunno ed estromette i suoi docenti dalla valutazione (attribuire un punteggio è cosa diversa dal valutare) sia un passo grave fatto in una direzione che confonde i diversi livelli della valutazione, con danni gravissimi per l’intero sistema.

È necessario separare la valutazione del sistema scuola da quella degli allievi in sede di esame finale, senza sovrapporre e confondere i due piani, in quanto estremamente diversi.

Riteniamo quindi indispensabile l'eliminazione più rapida possibile della prova nazionale Invalsi dall'esame di licenza media e intendiamo riaprire una discussione ampia, che coinvolga tutta la scuola ma non solo, sulle conseguenze dell’introduzione della valutazione in decimi nella scuola di base.

 

Giuseppe Bagni

Presidente nazionale del Cidi

 

Roma, 26 giugno 2011

 

Lettera del Presidente Giuseppe Bagni al Ministro Profumo

 

Caro signor Ministro,

non le nascondo che gli insegnanti sono molto preoccupati per le sorti della scuola, non solo perché esposta al rischio di nuovi tagli - che sarebbero a questo punto drammatici - ma anche perché temiamo che in questo clima di emergenza permanente non si trovi il coraggio di prendersi il tempo necessario per una riflessione pacata sulle finalità e sulle forme nuove necessarie del fare scuola. Ci manca da troppo tempo un confronto vero sul cosa e sul come insegnare oggi a una generazione e in un tempo caratterizzati entrambi dal cambiamento.
Forse non abbiamo fatto la giusta attenzione a quanto profondamente si è trasformato il modo di imparare dei nostri allievi, alla diversità delle loro strutturazioni di pensiero rispetto alle nostre.
Stiamo insegnando, signor Ministro, a studenti che non assomigliano più a come noi eravamo studenti, e questa è una difficoltà che purtroppo tendiamo a nascondere affibbiando loro le varie categorie del “sempre meno”, per cui sarebbero studenti sempre meno studiosi, sempre meno attenti, diligenti, disciplinati, autonomi, responsabili e così via con i luoghi comuni.
Sono convinto che chi tiene davvero alla scuola sa di doverla cambiare se vuole che davvero faccia posto - e intercetti - queste nuove intelligenze che gli alunni mettono in mostra (più spesso celano), ma dovremo cambiarla tutti insieme, e senza farle perdere quei caratteri che apparentemente la fanno obsolescente, ma in realtà la tengono fuori dal tempo. In grado, proprio per questo, di interpretare questo tempo.
Intendo dire che di fronte alla nuova vulnerabilità della società, esposta a mille contaminazioni e flussi migratori, la scuola risponde senza alzare barricate, ma proponendo un’idea d’identità dinamica, fondata sulla condivisione di obiettivi e sulla conoscenza reciproca. Le scuole sono i luoghi dove l’integrazione di culture non è un progetto astratto, ma una pratica quotidiana che mette fianco a fianco allo stesso banco quegli stessi soggetti che fuori della scuola si costruiscono i propri muretti di recinzione.
Le diversità di ogni tipo – di abilità, di cultura, di lingua – diventano il punto di partenza di quel percorso di scoperta di sé che fa scrivere in un libro collettivo la biografia di ogni alunno e la proietta nel futuro. Sta poi alla scuola far sentire quel futuro prima di tutto desiderabile, e poi anche possibile.
La scuola, ogni scuola, è il luogo dove la nuova generazione incontra quella che l’ha preceduta. È al suo interno che avviene il passaggio del testimone. Ma chi lo deve accettare lo farà solo se sapremo trasmettergli il valore di quello che riceve per il suo futuro.
Ecco perché non c’è scuola possibile senza fiducia nel futuro, e non c’è futuro per un paese che non investe sulla scuola. E questo lei ha già dimostrato di averlo più chiaro di me.
Non sarà facile per lei ridare fiducia, signor Ministro, anche perché in questi anni si è andata sempre più erodendo una risorsa fondamentale: gli insegnanti. In particolare i nuovi, i più giovani, quelli che di solito arrivano nelle scuole per ultimi e se ne vanno per primi, chiuso l’ultimo scrutinio. La scuola, non diversamente da qualunque comunità di pratiche professionali, cresce grazie agli scambi e ricambi generazionali, non c’è formazione in servizio che possa surrogare questa mancanza di condivisione e rinnovamento. Il successo del lavoro degli insegnanti non è un'impresa individuale, si realizza pienamente solo se inserito nell’azione coerente di una comunità educativa
Gli insegnanti non vanno in cerca di premi, signor Ministro, ma di riconoscimento, quello sì, del proprio lavoro.
Da anni ci siamo abituati a politiche scolastiche inadeguate che si sono tradotte quasi tutte in tagli alla spesa per l’istruzione. Nessuno che si sia mai seriamente impegnato a sostenere l’innovazione didattica e le migliori pratiche di scuola: non può stupire che si stia diffondendo un senso di abbandono che produce passività e atteggiamenti votati alla pura sopravvivenza.
Se non s’interrompe questo processo, il degrado del nostro sistema d’istruzione rischia di superare la soglia di non ritorno. E non possiamo illuderci che basteranno la sola scuola o la sola politica ad arrestare il processo. Ora più che mai c’è bisogno di un’alleanza capace di rimettere in moto le forze migliori della scuola e della società.
Perché dobbiamo essere consapevoli che ad ogni suono dell’ultima campanella il futuro del nostro paese, a cui tutti teniamo fortemente, sfila di corsa di fronte alle nostre cattedre.
Abbiamone cura.

Non mi resta che augurarle buon lavorott e assicurarle che potrà contare sulla collaborazione del Cidi tutte le volte che ritenga di averne bisogno.

Giuseppe Bagni, presidente Cidi.

 

Roma, venerdì 16 dicembre 2011

 

NELL'AMBITO DEL PROGETTO “A SCUOLA DI COSTITUZIONE”:
“L'ITALIA E' ANCORA UNA REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO?’”

"L'Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro?" Sarà questa l'articolata tematica che Mario Ambel, direttore della rivista "Insegnare", Luigi Di Giosaffatte, direttore generale di Confindustria Pescara e Fausta Guarriello, professore ordinario di Diritto del lavoro dell'Università D'Annunzio di Pescara, coordinati da Daniela Casaccia, Presidente Cidi Pescara, affronteranno martedì 17 gennaio.

Il convegno che si terrà alle ore 16:00, presso il Liceo Marconi di Pescara, rientra in "A scuola di Costituzione", un progetto che il Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti promuove da sette anni d’intesa con l'Associazione Nazionale Magistrati e con la Fondazione Lelio e Lisli Basso-Issoco. Obiettivo del concorso nazionale,   far sì che nelle scuole di ogni ordine e grado si costruiscano, nel quadro dell'attività scolastica, percorsi curricolari finalizzati a “leggere”, “esplorare” e “praticare” la Costituzione italiana. Lo studio della Costituzione, dunque, come terreno di incontro e confronto pluralista e democratico, capace di tener conto dei bisogni educativi di tutti i bambini e i ragazzi.

Nel corso della manifestazione verranno premiate le classi, dell'anno scolastico 2010-2011,  selezionate in Abruzzo: Scuola primaria Direzione didattica di Capistrello; Scuola secondaria di primo grado “Virgilio -Carducci- Montale di Pescara (3^ A della Virgilio e 1^A della Montale); 1^A sezione turistica dell'Istituto tecnico Alessandrini di Montesilvano e 3^D istituto tecnico Comi di Teramo. Presente al convegno anche la Quinta ginnasio del liceo Classico Torlonia di Avezzano, vincitrice del Premio Nazionale.  

Appuntamento, martedì 17 gennaio, alle ore 16,00 presso il Liceo G. Marconi, via M. Da Caramanico, Pescara.

Si prega di intervenire.


Pescara, 12 gennaio 2012
                                                                                                                                            Cidi - Pescara

Leggi la rassegna stampa sull'iniziativa "L'Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro?"
rassegna stampa convegno 17-01-2012.pdf
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Nessuno tocchi i ragazzi!

 

Così si è espresso Piero Grasso! E nessuno tocchi la scuola! Il cordoglio del Ministro Profumo, indubbiamente sincero e sentito, non è sufficiente! E’ necessario avviare una politica seria e costruttiva nei confronti del nostro Sistema Educativo nazionale di Istruzione e Formazione! Se si vuole veramente far bene alla scuola, si sospendano immediatamente tutte le scellerate iniziative che la stanno distruggendo ormai da anni, giorno dopo giorno! Alludo ai tagli indiscriminati, agli accorpamenti assurdi, alla moltiplicazione degli alunni per classe, alle condizioni di estrema precarietà in cui viene costretta a vivere oggi ogni nostra istituzione scolastica! La violenza scellerata degli stragisti di professione, chiunque essi siano, si è scatenata contro un corpo già debole, e reso tale da una scelta politica di cui non è certamente responsabile l’attuale ministro, ma una scelta che Profumo può e deve certamente rivedere e correggere, anche contro una eventuale maggioranza di governo che dei tagli è comunque responsabile. Al cordoglio delle autorità segua una iniziativa concreta che segni una svolta radicale per ciò che riguarda la politica dell’istruzione. A parole sono tutti pronti a dire che i ragazzi sono il nostro avvenire, ma alle parole devono seguire i fatti! Salviamo la scuola dalla pericolosa china in cui una politica scellerata l’ha avviata! Non sono le prove Invalsi che miglioreranno il nostro sistema di istruzione! Mettiamolo in condizione di funzionare bene e poi valutiamolo! E soprattutto difendiamolo subito e con energia dall’attacco stragista che è stato sferrato!

Conosco l’istituto professionale “Francesca Laura Morvillo Falcone” per avere condotto anni fa alcuni incontri con i suoi insegnanti sui temi della progettazione didattica e della valutazione! Insegnanti validi e interessati, impegnati con alunni altrettanto validi, lungo percorsi formativi specialistici di ottimo livello. Con il nuovo ordinamento oggi sono attivi percorsi orientati a professioni sanitarie e a produzioni industriali e artigianali; e il settore moda ha ancora una valenza che viene da lontano e che supera lo stesso contesto regionale! Non a caso Melissa in quell’istituto aspirava a diventare stilista! Un istituto professionale necessita di attrezzature particolari, laboratori di alto profilo perché il mondo del lavoro adotta tecnologie e innovazioni sempre più avanzate! Tagliare investimenti in un istituto professionale significa disinvestire sull’avvenire stesso dei nostri ragazzi!

E i nostri ragazzi non dobbiamo toccarli! Lo ha detto Piero Grasso Ma neppure le nostre scuole! Lo dica il Ministro Profumo! Lo chiedono Melissa e i suoi compagni feriti e tutti i ragazzi italiani che in molte delle nostre scuole soffrono per strutture antiquate e cadenti! Signor Ministro! Alla lettera di cordoglio faccia seguire una politica nuova per il nostro sistema di istruzione! Anche contro il suo stesso governo! Nel nome di Melissa… e di Laura Morvillo! Due donne che hanno pagato… con la vita!

 

Roma/Brindisi, 19 maggio 2012

Maurizio Tiriticco

comunicato Cidi - 19 maggio 2012.pdf
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